Il fiume carsico

Con le unghie e con i denti

L’ambasciatore Sergio Romano nella sua risposta alla lettera del segretario del Pri di Varese al “Corriere della Sera” – “la voce repubblicana” ha riprodotto entrambe venerdì scorso – aveva espresso il dubbio sul fatto che il Pri potesse comunque sopravvivere con il ruolo politico avuto nei suoi tempi migliori. Il triplice terremoto che ha sconvolto l’intero panorama politico italiano, all’inizio degli anni Novanta si è mostrato troppo violento: “la fine della Guerra fredda, la morte delle vecchie ideologie e la stagione giudiziaria di Mani pulite”, hanno inflitto un colpo da ko al Pri come a tutti i partiti dell’arco costituzionale. Difficile dare torto all’ambasciatore. Dal 1994 ad oggi e oramai sono più di vent’anni, il partito repubblicano ha lottato con le unghie e con i denti per mantenere un ruolo politico, perdendo lo stesso posizioni su posizioni. L’unica annotazione da fare è che in due secoli di vita politica, non è una novità entrare in un cono d’ombra. Accadde durante il ventennio, in maniera ben più gravosa visto un segretario nazionale e con lui le principali organizzazioni, entrare direttamente nel partito fascista. Anche allora qualcuno ci disse che la struttura repubblicana non avrebbe potuto mantenere il ruolo ed il prestigio degli anni precedenti alla prima guerra mondiale. La valutazione della storia politica, quando si appartiene ad una tradizione plurisecolare, assume quasi inevitabilmente un corso diverso da quello dell’opinione pubblica corrente. Aveva ragione Giovanni Spadolini quando parlava del Pri come di un fiume carsico. A volte scorre lungamente sotto la crosta della terra. Quello che colpiva della risposta di Romano non era però tanto il certificato di morte apparente, che in generale ci viene rilasciato anche da fonti meno autorevoli, ma il riconoscimento per la nostra battaglia. Romano la considerava, bontà sua, conclusa onorevolmente, “a differenza di altri partiti – annotava l’ambasciatore -, il Pri può vantarsi di avere realizzato il suo principale obiettivo storico”, per cui “quando celebreremo, fra un anno, il settantesimo anniversario della proclamazione della Repubblica, gli eredi del Pri avranno diritto a un posto in prima fila”. Siamo davvero grati per tanta generosità, ma è probabile che alle celebrazioni manderemo una corona fiori, perché la Repubblica per cui ci siamo battuti, dai tempi di Mazzini in poi, non l’abbiamo mai vista. Non nel 1946 e meno che mai settant’anni dopo.

Roma, 25 Maggio 2015